(Diego Brasioli)
Il Vitruviano è un celeberrimo disegno a penna e inchiostro su carta (1490 circa) di Leonardo da Vinci, conservato nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, che mostra un uomo nudo con le braccia e le gambe in due posizioni diverse sovrapposte, inscritto in un cerchio e in un quadrato. La figura, che si basa sulle proporzioni ideali del corpo umano descritte dall’architetto romano del I secolo a.C., Marco Vitruvio Pollione, simboleggia un ideale di proporzione e perfezione, ponendo l’uomo al centro dell’universo.
Molti sostengono che Leonardo abbia integrato nel disegno il concetto di sezione aurea (1,618…), considerata una proporzione estetica perfetta. Il corpo umano, secondo questa teoria, sarebbe progettato secondo leggi matematiche universali, che Leonardo avrebbe voluto rivelare visivamente. Il cerchio rappresenterebbe il cielo, l’infinito, il divino, mentre il quadrato sarebbe il simbolo della terra, della sfera corporea e della finitezza: l’uomo che unisce entrambe queste dimensioni sarebbe dunque il ponte tra spirito e materia, in linea con i concetti neoplatonici molto diffusi nel Rinascimento.
Da rilevare che i centri geometrici del cerchio e del quadrato non coincidono: il primo corrisponde all’ombelico, il quadrato ai genitali, suggerendo l’interpretazione secondo la quale Leonardo voleva indicare la natura duale dell’uomo: razionale (incentrata sullo spirito, sull’ombelico come origine della vita) e sensuale.
Alcuni studiosi come Carlo Pedretti (2009) hanno ipotizzato che l’Uomo Vitruviano leonardesco contenga una struttura geometrica armonica, basata su complesse corrispondenze tra cerchi, quadrati e triangoli, usata per calcolare architetture e prospettive: un sistema codificato di rapporti e visionaria sintesi tra arte, scienza, filosofia classica, secondo l’ideale rinascimentale.
L’idea dell’uomo “post-vitruviano” rappresenta invece una transizione significativa nell’evoluzione della specie Homo sapiens, che si allontana dall’immagine rinascimentale dell’individuo come misura di tutte le cose.
Oggi, infatti, siamo testimoni di una metamorfosi radicale, in cui l’essere umano può essere considerato non più come un’entità isolata, ma come parte integrante di un sistema complesso che include a pieno titolo elementi tecnologici come, ad esempio, l’intelligenza artificiale (IA) e i sistemi di interfaccia cervello-computer (Brain Computer Interface, BCI).
Questa evoluzione può essere compresa attraverso vari ambiti, tra cui la filosofia, la biologia e la tecnologia. Con l’avvento dell’IA generativa la stessa concezione dell’individuo è cambiata: l’umanità sta iniziando a riconoscere che la propria identità non è unicamente definita da caratteristiche biologiche, ma anche da interazioni con “macchine intelligenti” sulla base delle teorie formulate da Alan Turing degli anni Cinquanta del secolo scorso. Se la logica di una macchina, argomentava il logico e matematico britannico, non è distinguibile da quella di un essere umano, essa deve essere di fatto e a tutti gli effetti considerata intelligente, “sia pure in modo artificiale” (Turing, 1950). Di qui, la sua profetica visione: «Credo che alla fine del secolo l’uso delle parole e l’opinione delle persone di cultura saranno cambiati a tal punto che si potrà parlare di macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetti.»
Secondo Yuval Noah Harari (2015), la nostra capacità di creare tecnologie sempre più sofisticate ha reso possibile una nuova forma di “co-evoluzione”, in cui Homo sapiens e IA si influenzano reciprocamente. Questo fenomeno porta a considerare l’essere umano come un’entità ibrida, in cui il confine tra naturale e artificiale diventa sempre più sfumato.
Si tratta di una teoria che richiama concetti come quello del “trasumanar” di Dante, o il “punto Omega” di Teilhard de Chardin.
Il termine “trasumanar”, che Dante Alighieri utilizza nel verso 70 del Primo Canto del Paradiso, e che in un certo senso costituisce la più profonda chiave di lettura dell’intera Divina Commedia, evoca l’idea di una tensione trasformativa dell’anima umana verso uno stato di perfezione divina. Questo concetto si inserisce in un contesto più ampio, in cui la dimensione spirituale e quella materiale si intrecciano, dando vita a una visione dell’esistenza che trascende le esperienze terrene.
Nel Paradiso, Dante ci guida attraverso un viaggio straordinario nell’Aldilà, accompagnato da Beatrice, la sua musa e simbolo dell’amore di Dio. Qui, il “trasumanar” porta all’incontro con il divino e provoca una metamorfosi profonda. Non si tratta soltanto di un cambiamento fisico, ma di un’elevazione interiore che consente all’anima di avvicinarsi a Dio. La luce divina illumina l’intelletto umano, portandolo oltre la realtà quotidiana e materiale. Beatrice non è solo una figura di amore terreno, ma rappresenta anche il ponte verso l’amore divino, guidando Dante e, simbolicamente, ogni uomo verso la realizzazione completa del proprio potenziale spirituale. In questo senso, “trasumanar” diventa un simbolo di elevazione e di redenzione, un richiamo a far emergere il meglio di noi stessi attraverso la virtù e la fede, raggiungendo così la nostra destinazione ultima.
Il concetto di “punto Omega”, elaborato dal filosofo francese Pierre Teilhard de Chardin (1955), postula l’anelito al raggiungimento del punto di arrivo finale dell’evoluzione umana, in cui la coscienza e la complessità raggiungono un apice sublime e insuperabile. Egli ci invita a considerare l’evoluzione non solo come un processo biologico, ma come un cammino spirituale e sociale che ci conduce verso una “noosfera”, un’armonia collettiva di pensiero e consapevolezza. In questo scenario, l’umanità non è isolata, ma si integra in un disegno più vasto che abbraccia il divino e il cosmico.
Queste visioni, ispirate a un profondo senso religioso, si intrecciano in modo intrigante con i principi del “transumanesimo” (Sorgner, 2010), la filosofia che sostiene che attraverso la tecnologia possiamo superare i limiti della condizione umana: quasi una nuova religione, che conta un crescente numero di adepti nella Silicon Valley e che postula la necessità di abbracciare con fiducia le innovazioni e spingere senza freni sul progresso, nella convinzione che ciò ci garantirà grandissimi benefici, garantendo il potenziamento supremo delle nostre capacità fisiche e cognitive (Bonito, Carrara, 2024).
Tra i più ferventi discepoli del transumanesimo troviamo Elon Musk, l’imprenditore statunitense di origine sudafricana, fondatore, amministratore delegato e direttore tecnico della compagnia aerospaziale SpaceX, cofondatore di Neuralink e OpenAI, amministratore delegato della multinazionale automobilistica Tesla, proprietario e presidente di X (ex Twitter), l’uomo più ricco del mondo, l’unico ad aver varcato la soglia dei 400 miliardi di dollari di patrimonio netto.
Il transumanesimo affonda le proprie radici filosofiche nell’esoterismo ermetico e nel “cosmismo”, un movimento filosofico sorto in Russia tra alla Diciannovesimo secolo e sviluppatosi per buona parte del Novecento, che teorizzava in chiave eugenista il dominio assoluto dell’uomo sulla natura e promuoveva l’idea di un’evoluzione attiva dell’umanità, con l’obiettivo di superare i limiti umani, come la malattia, la morte e persino i confini terrestri, principalmente attraverso la scienza e la tecnologia (Tagliagambe, 2021).
Sia il cosmismo che il transumanesimo condividono una visione ottimistica del potenziale umano e della capacità di trasformare la condizione degli individui e della. Entrambi i movimenti credono nel progresso continuo e nell’evoluzione dell’umanità verso forme superiori di esistenza, caratterizzate dall’estensione della vita, dal miglioramento delle capacità cognitive e fisiche e dal la colonizzazione dello spazio. Le teorie cosmiste, sviluppate da pensatori come Pavel Florenskij, Vladimir Solov’ëv e Nikolaj Berdjaev, hanno esercitato una forte influenza sulla cultura russa e sovietica, ispirando progetti scientifici e tecnologici ambiziosi, come il programma spaziale dell’URSS.
Questa eredità culturale ha contribuito a creare un terreno fertile per lo sviluppo del transumanesimo, che ha ripreso e ampliato molte delle aspirazioni cosmiste, immaginando un futuro in cui l’umanità, grazie agli strumenti tecnologici, sarà in grado di superare i propri limiti biologici attuali, diventando una specie più avanzata e potente.
Una critica ante litteram della teoria transumanista è riscontrabile nelle opere dell’autore britannico Aldous Huxley, noto principalmente per il suo romanzo distopico Brave New World (1932), in cui presenta una società in cui la tecnologia e la scienza plasmano ogni aspetto della vita umana. La manipolazione genetica, il controllo mentale e la progettazione sociale sono elementi chiave che riflettono una visione futuristica in cui l’umanità si allontana dalla sua natura originaria. Huxley mette in guardia contro i rischi di un progresso tecnologico incontrollato, suggerendo che la ricerca del miglioramento umano potrebbe condurre a una perdita della libertà e dell’individualità.
Mentre i transumanisti vedono nel progresso scientifico una via per superare le limitazioni umane, Huxley suggerisce che tali sviluppi devono essere sempre guidati da una riflessione etica profonda. La sua opera invita a considerare le conseguenze sociali e morali delle innovazioni tecnologiche, un dibattito che è centrale nel transumanesimo contemporaneo.
Huxley esplora anche il concetto di “Homo Faber”, l’uomo che costruisce e modifica il proprio ambiente. Questo concetto è fondamentale per il transumanesimo, che si basa sull’idea che l’umanità possa e debba evolversi attraverso la tecnologia. Tuttavia, Huxley avverte che tale evoluzione deve essere accompagnata da una consapevolezza critica. La sua visione di un “uomo artificiale” solleva interrogativi su cosa significhi essere umani e su quali siano i limiti etici della modifica umana. Nel suo saggio The Perennial Philosophy (1945), egli discute l’importanza della spiritualità e della consapevolezza nel contesto della modernità. Questa dimensione si riflette nel transumanesimo, che non si limita a un miglioramento fisico e cognitivo, ma cerca anche di integrare la crescita spirituale. Huxley suggerisce pertanto che la vera evoluzione umana richiede il raggiungimento di un equilibrio tra tecnologia e spiritualità, e avverte dei pericoli di una società in cui le persone sono ridotte a meri ingranaggi di un sistema tecnologico. È un monito è particolarmente rilevante oggi, in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzate stanno rapidamente cambiando il nostro stesso modo di vivere (Benedetti, 2018).
Secondo la visione del transumanesimo, l’integrazione dell’essere umano con i sistemi di intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzate non è vista come una minaccia, ma come un’opportunità per accelerare la nostra evoluzione verso il raggiungimento dinamico di un punto “Omega”.
Del resto, già alla fine degli anni Novanta i filosofi britannici Andy Clark e David Chalmers (1998) introdussero la tesi dell’extended mind, secondo la quale il pensiero umano non si limita al cervello, ma si espande nel mondo fisico attraverso l’uso di oggetti che costituiscono vere e proprie estensioni della mente. In suoi studi successivi, Clark (2003) postula che, man mano che il progresso avanza, sempre più appare destinato ad assottigliarsi quel confine che separa gli individui dagli apparati digitali che utilizzano in maniera intensa; ciò che di fatto ci farebbe diventare dei veri e propri “simbionti tecnologici”, “sistemi uomo-macchina” che pensano e ragionano in modo integrato, in cui il pensiero è distribuito tra cervello biologico e circuiti non biologici. In sostanza, afferma Clark, saremmo già dei cyborg, esseri bionici al confine tra uomo e macchina: «Il mio corpo è vergine dal punto di vista elettronico; io non incorporo chips al silicio, impianti retinici o cocleari, ma lentamente sto diventando sempre più un cyborg. Non nel banale senso di combinare carne e metallo, ma nel senso più profondo di essere un “sistema simbiotico umano-tecnologico”: un sistema che pensa e ragiona, la cui mente e i cui vari “io” sono distribuiti tra cervello biologico e circuiti non biologici.»
Eccoci dunque che, con l’avvento dell’IA generativa, l’Homo sapiens è alle soglie di una trasformazione radicale, verso la realizzazione di un modello di umanità “post-vitruviana”.
Si tratta di un concetto che è stato esplorato, tra gli altri, da Sampada Bhatnagar (2021), che sottolinea come la consapevolezza crescente che l’uomo non è più il fulcro dell’universo abbia portato a una ridefinizione stessa della nostra identità. Donna Haraway, nel suo A Cyborg Manifesto (1985), ha messo in discussione le rigide separazioni tra umano e macchine, suggerendo una visione in cui l’identità è fluida e interconnessa con la tecnologia. Francesca Ferrando (2016), descrive questa idea come un “concetto aperto”, dove la coesistenza non si limita solo agli esseri umani, ma si estende a tutte le forme di vita e all’ecosistema stesso.
Le interfacce cervello-computer (Brain-Computer Interface, BCI, i sistemi che consentono una comunicazione diretta tra il cervello umano e un computer, traducendo i segnali cerebrali in comandi) rappresentano un aspetto cruciale di questa transizione. Progetti come il celebre Neuralink di Elon Musk, promettono di trasformare radicalmente la nostra capacità di interazione con il mondo e di noi stessi, rendendo possibili esperienze e capacità precedentemente inimmaginabili. Le BCI permettono una comunicazione diretta tra il cervello umano e i dispositivi digitali, aprendo la strada a nuove forme di interazione e di esperienza. Studi recenti (Lebedev & Nicolelis, 2006; Lebedev, 2017) hanno dimostrato che queste tecnologie non solo possono migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità, ma anche potenziare significativamente le capacità cognitive degli individui sani.
Il dispositivo Stentrode brevetato dall’azienda Synchron, applicato a oltre cinquecento pazienti colpiti da ictus, ha notevolmente migliorato le loro capacità comunicative attraverso la tecnologia di lettura del pensiero. Il programma BCI della Mayo Clinic ha permesso ai pazienti con SLA (sclerosi laterale amiotrofica) di controllare direttamente i sistemi di automazione domestica tramite segnali neurali. Le cuffie BCI non invasive di Meta consentono agli utenti di digitare fino a 100 parole al minuto esclusivamente con i propri pensieri, mentre gli auricolari Neural Link di Samsung possono interpretare la “subvocalizzazione” (il fenomeno che si verifica quando leggiamo in silenzio ma “sentiamo” le parole nella nostra testa) con un’accuratezza del 90%, permettendo il controllo silenzioso dello smartphone in ambienti rumorosi. Valve, una compagnia di sviluppo di giochi, ha introdotto un sistema di gioco BCI che interpreta gli stati emotivi dei giocatori per regolare dinamicamente la difficoltà del gioco, aumentando così il coinvolgimento dei giocatori del 45%.
In ambito industriale e professionale, la Boeing ha implementato sistemi di addestramento potenziati da BCI per i piloti d’aereo, riducendone il tempo di addestramento del 40% ; l’azienda di robotica chirurgica Intuitive ha integrato controlli BCI nei suoi ultimi sistemi chirurgici, migliorando del 30% la precisione degli interventi più difficili e riducendo i tempi delle operazioni; le squadre di Formula 1 stanno già utilizzando sofisticati sistemi di monitoraggio cerebrale dei piloti, potenziati da programmi BCI, per prevedere il loro stato di affaticamento durante la gara e ottimizzare la strategia della corsa.
L’idea di “potenziamento umano” diventa quindi centrale nelle nostre vite, suggerendo che l’integrazione con le tecnologie non è solo una questione di accessibilità, ma di evoluzione (Brasioli-Emanuele, 2025).
Il filosofo svedese Nick Bostrom (2008) definisce il postumano come un’entità che possiederà capacità superiori rispetto a quelle attualmente raggiungibili dall’uomo. Ciò comporterà miglioramenti nella salute, nella cognizione e nelle emozioni, suggerendo che il futuro potrebbe vedere individui in grado di superare i limiti biologici attuali.
Un esempio emblematico di questa evoluzione è il prototipo di corpo preconizzato dal programma Primo Posthuman, progettato per essere multifunzionale e aggiornabile, secondo una visione di umanità potenziata (Bhatnagar, 2021). Questo modello si allinea con la filosofia transumanista, che considera l’essere umano come un’opera in continua evoluzione, in grado, grazie all’l’ingegneria genetica e alla tecnologia avanzata, di superare i propri limiti biologici.
Il concetto di uomo post-vitruviano implica anche una riconsiderazione del libero arbitrio e dell’autonomia. Con l’avvento dell’IA, i processi decisionali umani sono sempre più influenzati da algoritmi e sistemi intelligenti, spesso al di là delle nostre capacità di controllo. Questo solleva interrogativi etici e filosofici riguardo alla responsabilità e alla libertà individuale: in un contesto in cui le scelte vengono sempre più mediate da sistemi algoritmici, si pone la questione se l’essere umano possa ancora considerarsi l’autore delle proprie decisioni. Come suggeriscono Bostrom e Yudkowsky (2014), la sfida non è solo quella di sviluppare tecnologie avanzate, ma di farlo in modo da preservare e amplificare la dignità umana.
Infine, l’uomo post-vitruviano rappresenta un cambiamento di paradigma nella nostra comprensione della conoscenza e della creatività. L’IA sta trasformando il modo in cui produciamo arte, musica e letteratura, portando a una nuova era di collaborazione tra esseri umani e macchine. L’arte generativa, per esempio, sta sfidando le nozioni tradizionali di autore e originalità, suggerendo che persino la creatività non sia una prerogativa esclusivamente umana, ma possa emergere anche da interazioni con algoritmi (Elgammal et al., 2017). Questa evoluzione ci invita a riconsiderare il valore dell’esperienza umana in un contesto di “co-creazione”.
In conclusione, l’uomo post-vitruviano rappresenta una nuova era in cui l’identità, l’autonomia e la creatività si intrecciano con le tecnologie avanzate. La sfida è quella di navigare in questo nuovo panorama in modo da preservare i valori fondamentali dell’umanità, mentre abbracciamo le potenzialità offerte dall’integrazione con l’intelligenza artificiale e le interfacce cervello-computer. Solo così potremo costruire un futuro in cui l’essere umano mantenga la sua centralità, non come misura di tutte le cose, ma come parte di un ecosistema evolutivo complesso e sempre più interconnesso.
Le opinioni contenute in questo articolo sono espresse a titolo personale e non sono attribuibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano.
(13 ottobre 2025)
Riferimenti
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Bhatnagar, S. (2021). From a Vitruvian Man to a Primo Post Human: Understanding posthumanism. Nerd For Tech. (https://medium.com/nerd-for-tech/from-a-vitruvian-man-to-a-primo-post-human-understanding-posthumanism-ffa0c6d0c662).
Bonito C., Carrara A. (2024). Il transumanesimo. Una sfida antropologica alla scienza e alla fede. Mimesis Edizioni.
Bostrom, N., Yudkowsky, E. (2014). The Ethics of Artificial Intelligence. In Cambridge Handbook of Artificial Intelligence.
Brasioli D., Emanuele M. (2025), Il tempo nuovo – La sfida della complessità tra nuova globalizzazione e intelligenza artificiale. Mursia.
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