L’evoluzione tecnologica è un fatto politico

Scrive Bremmer (Il potere della crisi, 2022, p. 133): (…) poiché le macchine cambiano le nostre vite più velocemente di quanto i governi riescano a capire, e ancor meno a gestire, gli esseri umani perdono fiducia nella capacità del governo di aiutarli quand’anche fosse nelle sue intenzioni farlo. Il massimo rischio di disumanizzazione deriva dal modo in cui un certo tipo di “autoritarismo digitale” mina la democrazia stessa.

Dire che l’innovazione tecnologica è un fatto politico significa considerare l’Importanza strategica di un fenomeno che sta stravolgendo, più di altri, le nostre vite personali, la vita-in-comune fino alle relazioni internazionali.

Ciò che è diventato un’ovvietà, il prendere atto che le trasformazioni indotte dalla rivoluzione tecnologica sono radicali e profonde, non sembra essere diventato un punto decisivo nell’agenda delle classi dirigenti: il problema che si pone è la visione strategica (pre-visione) delle nostre società e del mondo. La politica non può occuparsi solamente degli effetti delle tecnologie mano a mano che si verificano: così la politica si riduce ad amministrazione dell’esistente.

Il gioco dei like nei social media, per guadagnare qualche punto nei sondaggi elettorali, sembra essere il massimo coinvolgimento dei leader dei partiti. Tre sono i punti, invece, sui quali occorre lavorare strategicamente: il primo è capire verso quali tecnologie stiamo andando e con quale finalizzazione; il secondo punto riguarda la pre-visione di chi saremo tra venti o trent’anni (come cambierà il mercato del lavoro, come cambieranno le nostre città in termini di governo della mobilità e di efficienza dei servizi, cosa comporterà l’evoluzione del Metaverso, e così via); il terzo punto riguarda il problema, posto anche da Bremmer, del rapporto tra evoluzione tecnologica ed evoluzione della democrazia (ci stiamo davvero muovendo verso orizzonti di “autoritarismo digitale” ?).

Il rapporto tra tecnologia e democrazia ci deve far riflettere con grande realismo e fuori da inutili e pericolosi antagonismi. La sicurezza, in democrazia, sta cambiando profondamente e assume sempre nuove forme. La coesione sociale, fattasi precaria in decenni di scelte a-politiche, rischia di essere ulteriormente minata da una rivoluzione tecnologica non compresa nella sua radicalità e complessità. L’evoluzione del mercato del lavoro attraverso le tecnologie, se governata, può contribuire a re-immaginare società politicamente stabili e sostenibili. Senza governo politico, la tecnologia potrà creare ulteriore instabilità sociale, esacerbare i conflitti, ulteriormente separando chi sta meglio (sempre di meno) da chi sta peggio (la maggioranza). Una politica degna di questo nome dovrebbe lavorare sulle parole di Bremmer (op. cit., p. 133): Più di dieci anni fa la crisi finanziaria ha tolto l’occupazione a milioni di persone, e poiché molte aziende ne hanno approfittato per ridurre il costo del lavoro mentre altre sono fallite, alcuni di quei posti di lavoro sono semplicemente spariti nel nulla. Il Covid-19 ha inferto un altro colpo ai lavoratori, e sebbene questa volta la ripresa economica sia stata molto più rapida, stiamo ancora contando i posti di lavoro andati perduti per sempre a causa dei lockdown. Ma l’impatto a lungo termine (e da lungo tempo previsto) del cambiamento tecnologico sui posti di lavoro va ben oltre queste emergenze inattese.

Se non vi è dubbio che le tecnologie rappresentino il campo di battaglia di una competizione assai esasperata (alcuni analisti evocano addirittura una “nuova guerra fredda” tra USA e Cina), è altrettanto vero che le stesse tecnologie (pensiamo, in particolare ma non solo, a quelle geospaziali) devono essere parte di un pensiero complesso e sistemico che porti a decisioni strategiche rispetto alla risoluzione delle crisi della megacrisi planetaria. Così, nella competizione, si devono aprire spazi di cooperazione laddove le tecnologie risultino indispensabili per affrontare dinamiche storiche che esondano dalle possibilità della sola intelligenza umana di governarle. La cooperazione risulta necessaria non solo per cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia ma anche per mitigare i rischi che da essa derivano e che possono colpire tutti i paesi del mondo, nessuno escluso (come i quotidiani attacchi cyber dimostrano).

Grazie al governo dell’evoluzione tecnologica è possibile ri-pensare per ri-fondare la politica nel quadro di un ri-pensamento per la ri-fondazione della globalizzazione in glocalizzazione.

in collaborazione con The Science of Where Magazine

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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