(Marzia Giglioli)
Inutile ripetere che l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca segni una svolta.
Bisognerebbe piuttosto misurarne lo spessore e qui gli analisti si dividono tra il più nero pessimismo sulle sorti della democrazia negli Usa o l’ottimismo su un cambiamento capace di affrontare le sfide future.
La verità è che tutti pensiamo, parliamo e scriviamo all’interno di schemi intellettuali che diamo per scontati e che sembrano invece essere superati dagli eventi: il passare (sempre piu veloce) del tempo rende obsolete le categorie, gli schieramenti, i confini (quelli mentali e quelli geografici).
La complessità imporrebbe più orizzonti ma non se ne intravedono i contorni sul teatro internazionale. Quelli che è certo è che il voto presidenziale negli Stati Uniti segnerà sicuramente un punto di svolta storico e plasmerà gli eventi globali per i decenni a venire.
‘Gli effetti si faranno sentire a due livelli’ – scrive Joschka Fischer, ex ministro tedesco – ‘il primo è il livello più immediato, pratico e operativo della governance quotidiana’ . Dai dietrofront sul clima da parte di Washington, le nuove tariffe ai propri partner commerciali e la massiccia campagna per espellere milioni di clandestini. ‘Poi c’è la dimensione globale, dove sono possibili molti scenari’ – scrive ancora Fischer – ‘dai grandi spostamenti di potere alla dissoluzione di alleanze di lunga data e alla disintegrazione delle istituzioni e delle norme di governo del mondo’. ‘Cosa accadrà alle relazioni transatlantiche? E all’Ucraina? Gli Stati Uniti svilupperanno legami più stretti con la Russia e altri regimi autoritari a spese dell’Unione Europea e di altri alleati?’
C’è infatti da chiedersi quale sarà il nuovo modello dell’America e conseguentemente: quale potrà essere il futuro per l’Occidente con un cambiamento radicale sul fronte degli States?
‘Ma c’è davvero un futuro liberale?’, si chiede Fischer.
Nel frattempo, ciò che si vede è che la pressione sulle democrazie europee affinché contribuiscano di più alla propria sicurezza si intensificherà. ‘Ma Trump non ha alcun interesse a rafforzare l’UE’ – scrive ancora Fischer – ‘anzi, è tutto il contrario, e la capacità dell’UE di avanzare in modo indipendente senza il tacito supporto degli Stati Uniti è dubbia. Farlo richiederebbe un cambiamento fondamentale nella mentalità politica degli europei, e un cambiamento del genere al momento non è in vista. Inoltre, il motore franco-tedesco che ha sempre spinto l’UE non è più operativo e nessuno sa quando, o se, verrà riavviato’.
Ciò ci porta all’ultima, importantissima domanda: come sarà il mondo senza un Occidente liberale?
Ora l’ordine globale è nel mezzo di una transizione che qualcuno già definisce caotica.
Per Fischer, ‘se l’Europa non riesce a unirsi in questo momento di tumultuoso cambiamento, non avrà una seconda possibilità. La sua unica opzione è diventare una potenza militare in grado di proteggere i propri interessi con il rischio di una frammentazione, impotenza e irrilevanza’. La sfida è aggravata da un massiccio cambiamento tecnologico verso la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, nonché dalla crisi demografica dell’Europa. Il Vecchio Continente, e mai termine sembra più calzante, ha pochi giovani ed è sempre più contrario all’immigrazione. L’Europa si preparerà ad affrontare le sfide che già la investono da tempo o tornerà ad una struttura rigida?
La verità è che il voto americano del 6 novembre 2024 ha già segnato per gli europei un risultato che li influenzerà più profondamente di tutte le loro elezioni messe insieme. Trump non cambierà solo l’America ma plasmerà anche la storia europea.
(tratto da un articolo, pubblicato dal sito Project-Syndicate, di Joschka Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco e vice Cancelliere dal 1998 al 2005)