La pace secondo Leone XIV

(Marco Emanuele) 

Leone XIV, nel Messaggio per la LIX Giornata Mondiale della Pace, scrive: Il contrasto fra tenebre e luce (…) non è soltanto un’immagine biblica per descrivere il travaglio da cui sta nascendo un mondo nuovo: è un’esperienza che ci attraversa e ci sconvolge in rapporto alle prove che incontriamo, nelle circostanze storiche in cui ci troviamo a vivere.

Viviamo tra tenebre e luce, è la nostra condizione umana. La contraddizione ci appartiene e il nostro approccio strategico deve superare il principio di ‘non contraddizione’ che ci colloca fuori dall’essenza della complessità dell’umano e del reale, impedendoci di aderire alla nostra stessa (e contraddittoria) umanità.

Ancora il Papa: La pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”.

Nel contesto del pensiero complesso si potrebbe dire che il male opera nel presente ‘imminente’ laddove noi uomini siamo prigionieri della violenza per la violenza, del male banale, rinunciando alla speranza. Il male è la condizione esistenziale dell’umanità tradita, dell’umanità che sceglie di non percorrere l’oltre. La pace, invece, va oltre, ci comprende ma ci supera, abita il presente ‘storico’. Abbiamo un disperato bisogno di pace perché l’eternità è condizione di vita piena, è vita che continuamente rivive. La nostra vera sconfitta è arrenderci all’imminenza della nostra condizione. Dobbiamo respirare la pace come progetto storico, non solo assenza di guerra.

(…)  dimenticare la luce, è purtroppo possibile: si perde allora di realismo, cedendo a una rappresentazione del mondo parziale e distorta, nel segno delle tenebre e della paura.

Qui Leone XIV tocca un punto davvero strategico: in un mondo caratterizzato da crescente complessità, solo la pace è realista. Si tratta di un realismo che esce dai paradigmi classici unicamente determinati dalle ragioni di potenza per immaginare paradigmi che, pur considerando l’esistenza e la pervasività dei rapporti di forza, li superi in una visione storica adeguata. Dal realismo della pace può nascere una rinnovata filosofia della storia che rimetta al centro i principi di umanità e sostenibilità sistemica e che consideri la fiducia reciproca un alimento-elemento necessario e irrinunciabile.

Scrive il Papa: Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre scelte. Anche nei luoghi in cui rimangono soltanto macerie e dove la disperazione sembra inevitabile, proprio oggi troviamo chi non ha dimenticato la pace.

La pace è progetto storico inclusivo. Tutti abbiamo la responsabilità di proteggerla e di ri-costruirla, lavorando ogni giorno. La pace ci chiede di vivere da testimoni, non di cercarla fuori di noi. La pace non è un obiettivo ma la continua consapevolezza del noi-umanità in cammino. Aspettare la pace da parte di qualcuno è opzione infantile e di delega della vita: se è importante la tregua nei teatri di guerra, la pace è altra cosa.

Molto importante, nella costruzione della pace come progetto storico inclusivo (cammino e non obiettivo), è la capacità di maturare giudizio storico. Scrive Leone XIV: Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza.  «In conseguenza – come già scriveva dei suoi tempi San Giovanni XXIII – gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». Ebbene, nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza.

L’assenza di strategie di pace genera violenza e male banale. L’aggressività che ci attraversa è anche frutto della nostra incapacità di vivere insieme nelle differenze, di fare unità nella consapevolezza delle rispettive contraddizioni. Mentre l’incertezza è parte di noi, ciò che vediamo è la continua assolutizzazione di presunte verità di parte e la radicalizzazione in esse: cresce l’insostenibilità sistemica. Domina il dominio della forza (e a farne le spese sono i più deboli e gli ultimi) perché la pace sembra riguardare le ‘anime belle’: le classi dirigenti si esercitano continuamente nell’esaltazione della forza, ormai a ogni latitudine. Chi davvero comprende la realtà-della-realtà ? Se difendersi dalle aggressioni è opzione irrinunciabile, armare il mondo per raggiungere la pace è pericolosissimo paradosso lineare. La sicurezza è un valore e va ripensata nel tempo della ‘guerra ibrida’: altra cosa è la cultura armata, ciò che va diffondendosi come rischio principale nella considerazione ‘imminente’ del presente.

Il Concilio Vaticano II ha rappresentato un punto di svolta per la Chiesa nel mondo: ora siamo nel tempo nuovo. Così il Papa: Nel ribadire l’appello dei Padri conciliari e stimando la via del dialogo come la più efficace ad ogni livello, constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico.

Una rinnovata filosofia della storia deve partire dall’importanza del fattore tecnologico. Tra grandi opportunità e altrettanti rischi, si apre un panorama che va compreso e governato. Si spalanca, anzitutto, una decisiva questione antropologica: la spinta tecnologica, infatti, agisce sulla trasformazione della nostra umanità e passa attraverso tutti i settori della convivenza (comprese le nuove forme della guerra, della sicurezza e della pace) fino alle relazioni internazionali. Il controllo umano, nostra responsabilità, è imprescindibile.

Infine, il tema della pace disarmante riguarda il senso stesso del vivere-in-pace, dell’incarnare un sentimento di unità umana (Fratelli Tutti) nell’unità del mondo (Terra-Patria). Perché la pace si realizzi occorre camminare insieme, nella fiducia, affidandosi. Lavorare per la pace significa vivere pienamente in dialogo (condividendo senso storico), mediazione e visione. Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi e di aprire nuovi scenari nell’oltre.

Messaggio del Santo Padre Leone XIV per la LIX Giornata Mondiale della Pace 2026: «La pace sia con tutti voi: verso una pace “disarmata e disarmante”»

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