(Marzia Giglioli)
Israele-Hamas: la guerra parallela della disinformazione
Riflessioni con i fact checkers per guardare dentro alle fake e alle narrazioni
Pubblichiamo i primi dati dell’indagine EDMO sulle piattaforme
L’attacco di Hamas a Gaza e la successiva reazione militare di Israele ha provocato una notevole ondata di disinformazione su tutte le principali piattaforme di social media. Fake news si accavallano a narrazioni pilotate per orientare giudizi e distorcere la verità dei fatti, già difficilissima da individuare quando scoppiano i conflitti e quando la propaganda tende a coprire la cronaca reale.
EDMO ha esaminato decine di articoli di fact-checking pubblicati da organizzazioni membri della sua rete e ne ha aggiunti altri trovati su diverse piattaforme attraverso ricerche proattive, nonché diverse analisi originate sia da organizzazioni-membri che esterne. Riportiamo di seguito i principali risultati dell’ analisi preliminare.
Innanzitutto, la disinformazione che ha inondato i social media ha veicolato diverse narrazioni di disinformazione insieme a molta pratica di click-baiting (falsi contenuti che non trasmettono alcun messaggio particolare).
Le principali narrazioni di disinformazione identificate riguardano soprattutto la giustificazione delle azioni di Hamas: sono stati rilevati contenuti falsi su presunti crimini di guerra commessi da Israele (ad esempio il presunto bombardamento di una chiesa a Gaza o l’uso di bombe al fosforo), inviando il messaggio che le azioni di Hamas erano in qualche modo giustificate dal comportamento israeliano.
C’è poi un altro fattore che riguarda la disumanizzazione dei terroristi: molte notizie, video e immagini false riguardavano presunti episodi di estrema brutalità da parte di membri di Hamas. È vero che i terroristi islamici hanno fatto cose indicibili durante la scorsa settimana – si legge nel rapporto EDMO – ma le narrazioni di disinformazione che esagerano la crudeltà delle loro azioni sembrano mirare in definitiva a dipingerli come “non umani”, giustificando quindi qualsiasi tipo di azione contro di loro. Un”altra inarrazione riguarda il
consenso per Hamas e le sue conquiste militari: falsi contenuti diffusi con l’obiettivo di esagerare il sostegno che le azioni di Hamas hanno ricevuto nel resto del mondo e le vittorie militari contro Israele.
C’è poi il capitolo degli attacchi contro chi chiede a Israele il rispetto dei diritti umani: sono stati diffusi contenuti falsi per accusare di antisemitismo e/o sostegno ai terroristi chi critica le decisioni del governo israeliano e/o fornisce aiuto ai civili palestinesi.
Inoltre, sui social media sono circolate teorie del complotto insieme a un numero significativo di notizie false contro l’Ucraina, in particolare che le armi utilizzate da Hamas durante gli attacchi terroristici contro i civili israeliani sarebbero state fornite dall’Ucraina (Dmitry Medvedev, ex primo ministro russo, ha twittato il 9 ottobre un messaggio con questa accusa).
In secondo luogo, i sistemi per contrastare la disinformazione messi in atto dalle piattaforme di social media hanno funzionato parzialmente e, come segnalato dalle organizzazioni della rete EDMO (ad esempio in Germania e Irlanda ), tali sistemi non sono stati in grado di prevenire in modo significativo la diffusione di contenuti falsi e fuorvianti.
Etichettare, declassare e contestualizzare un contenuto falso o fuorviante è al momento la migliore pratica, dal punto di vista dei fact-checker, ma non è ancora sufficientemente rapida e diffusa, in particolare per le lingue meno utilizzate nell’UE; le rimozioni in base alle politiche delle piattaforme pertinenti di solito non sono abbastanza veloci da impedire la circolazione massiccia di contenuti falsi e le organizzazioni di verifica dei fatti generalmente ritengono che questa pratica presenti vari limiti e problemi).
Le cosiddette “community note” funzionano male nell’affrontare la disinformazione su questioni polarizzanti, come il conflitto Israele/Palestina, a causa della loro discutibile metodologia. Spesso notizie, video o immagini false non sono accompagnate da note, e quando compaiono queste possono essere di per sé fuorvianti e richiedere ulteriori modifiche e correzioni (ad esempio nel caso di un video che mostra bambini in gabbia, originariamente contestualizzato come bambini israeliani rapiti da Hamas, ha visto in un primo momento apparire agli utenti italiani delle note che affermavano senza prove che si trattasse di bambini yazidi rapiti dai ribelli siriani). Questo è un problema evidenziato da EDMO mesi fa.
La quantità di disinformazione analizzata da EDMO è già significativa, ma rappresenta una percentuale molto piccola del totale circolante. Guardare i link inseriti negli articoli di fact-checking può ovviamente causare distorsioni. In particolare, molte organizzazioni di fact-checking hanno accordi con piattaforme di social media (in particolare Meta e TikTok), quindi è più probabile che la disinformazione che vedono su tali piattaforme venga etichettata o in generale trattata in conformità con le rispettive politiche.
Questa analisi è datata 16 ottobre, la crisi in Israele/Palestina è ancora in corso e la relativa disinformazione imperversa ancora sulle piattaforme dei social media. È la guerra parallela che ha armi invisibili e contro la quale non ci sono scudi sufficienti.
Ringraziamo per il materiale e la collaborazione: Tommaso Canetta, vicedirettore di Pagella Politica/Facta News e coordinatore delle attività di fact-checking di EDMO