Ci liberiamo nel vincolo dell’inter-in-dipendenza.
In molti scrivono di un mondo interdipendente. E’ certamente così ma è l’idea di interdipendenza a non bastare per descrivere la profondità del mosaico-mondo. I diversi sistemi nazionali, e le comunità umane che li vivono, sono legati da un destino comune, planetario: è il senso, che non esitiamo a definire politico, del con-vivere in un mondo-uno, del con-dividerlo.
Il vincolo dell’inter-in-dipendenza è libertà e liberazione: la costruzione dinamica del destino planetario non può essere immaginata fuori da esso. Nulla è distaccato dal resto e ciò che accade ovunque nel mondo ci riguarda. Mediocre, e a-politico, è il pensiero che inneggia ai confini, alle separazioni, all’esasperazione dogmatizzante dell’identità nazionale.
Se, come scrivevamo, ogni sistema porta interessi particolari e non eliminabili, è nell’inter-in-dipendenza che si creano le condizioni per la costruzione dinamica del destino planetario. Nessuno nega che i singoli sistemi debbano/possano immunizzarsi rispetto all’esterno e difendersi: nella fase storica che viviamo, carente è la capacità di costruire spazi comuni, di abitare le frontiere anziché consolidare i confini. Gli Stati, per paura e a causa della non governata apertura alla globalità delle società nazionali, anziché ri-pensarsi in funzione del destino planetario, somigliano sempre più a fortini-in-difesa.
L’inter-in-dipendenza è politica ed è elemento necessario nella elaborazione di una bussola geostrategica. Il nostro cammino complesso di ricerca “in realtà” vive nella contaminazione per la fecondazione che avviene nelle frontiere di senso e di significato che non dividono, ma distinguono, le comunità umane e i sistemi nazionali. Scriviamo d’inter-in-dipendenza perché, dai rapporti sociali alle relazioni internazionali, non solo ogni accadimento genera conseguenze per tutti ma le ricadute di quell’accadimento sono trasformanti ogni mondo complesso e il mondo nel suo complesso.
Scrivere d’inter-in-dipendenza significa camminare in una prospettiva non lineare. Ben si comprende come la soluzione alla megacrisi de-generativa che stiamo vivendo non passi da un approccio rivolto all’indietro. Il tema del futuro già presente è camminare nell’oltre. Pur se vero, non è sufficiente dire che ci si salva tutti insieme: il lavoro culturale e politico riguarda la ri-scoperta del vincolo che ci tiene insieme. Si tratta di necessario realismo e non di buonismo geostrategico.
Da un lato, nessun governo nazionale è in grado di affrontare da solo la megacrisi de-generativa in atto: urge, dunque, il ripensamento di un’architettura multilaterale che non si è rivelata efficace negli ultimi decenni. Dall’altro lato, occorre un paziente lavoro di profonda ri-cucitura di un mondo diviso: la geostrategia, in questa fase della storia dell’umanità, assomiglia più al lavoro di artigiani della complessità.
La consapevolezza dell’inter-in-dipendenza chiede analisti in grado di elaborare scenari complessi, dall’alto e nel profondo. I fora globali, che producono solenni dichiarazioni di principio, non riescono a calarsi nel lavoro che l’inter-in-dipendenza vuole e che chiede il rafforzamento, in chiave politica, delle reti sociali di solidarietà e di azione civile.
Siamo dentro a un mosaico-mondo e ciò significa che le forme dello sviluppo sono diverse da contesto a contesto: non può esserci un pensiero unico e omologante. Altresì, le conseguenze della megacrisi e dei processi globali sono diverse in ogni luogo. Occorre adeguare i nostri paradigmi, anzitutto assumendo quello della complessità: occorre contestualizzare e de-contestualizzare, investendo sulle conoscenze autoctone senza radicalizzarle, valorizzando le identità senza dogmatizzarle, accompagnando le società e le comunità umane dentro la globalità che le attraversa in una “originalità aperta”.
Ciò che manca è la trasposizione in percorsi operativi della natura politica dell’inter-in-dipendenza: la scelta del pensiero complesso e del dialogo geostrategico per un agire pertinente. A questo, secondo noi, dovrebbero essere formate le classi dirigenti nel futuro già presente.
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