(Marzia Giglioli)
Oggi in Islanda le donne scioperano per protestare contro le violenze di genere e le disparità di retribuzione salariale.
Già nel 1975, in Islanda venne organizzato una mobilitazione nazionale di tutte le donne per ribadire il loro apporto fondamentale all’economia e alla società.
Dopo 50 anni, la protesta rilancia gli stessi temi: come dire, le cose in mezzo secolo non sono cambiate, o almeno non abbastanza.
Alla mobilitazione prende parte anche la prima ministra Katrin Jakobsdottir. Si tratta del più grande sciopero femminile nella storia del Paese.
Scioperano tutte le donne, sia quelle impegnate nel lavoro esterno che in quello domestico e di cura per lanciare un grande manifesto per riconoscere l’essenziale apporto femminile dentro la società.
Secondo il report sul divario di genere, stilato dal World Economic Forum, negli ultimi 14 anni l’Islanda spicca per essere il Paese più vicino al raggiungimento della parità di genere ma, secondo le organizzatrici dello sciopero, il divario di retribuzione tra uomini e donne esiste ancora in diversi settori. Salari molto bassi causano una condizione di subalternità economica rispetto agli uomini. La protesta riguarda anche il fatto che più di una donna su tre ha avuto esperienza di violenze nella propria vita.
Le discriminazioni economiche si legano alle violenze sessuali e di genere perché, in qualche modo, hanno la stessa ‘radice’. Come ha detto al Guardian una delle organizzatrici, Drífa Snædal, la violenza contro le donne e il lavoro sottopagato sono due facce della stessa medaglia e hanno effetto l’una sull’altra’.
La protesta di oggi, oltre a denunciare una cultura settaria che ancora pone limiti e confini e implica giudizi di genere, mette sul banco degli imputati un pensiero troppo unilaterale.
(riproduzione autorizzata citando la fonte)