Il ‘braccio di ferro’ tra il New York Times e ChatGPT

(Marzia Giglioli)

A fine dicembre il New York Times ha intentato una causa contro OpenAI sostenendo che la società ha commesso una violazione intenzionale del copyright attraverso il suo strumento di intelligenza artificiale generativa ChatGPT. Il Times afferma che ChatGPT è stato addestrato illegalmente su grandi quantità di testo dai suoi articoli e che l’output di ChatGPT contiene il linguaggio preso direttamente dai suoi articoli.

Ma il Times non si è limitato alla richiesta di un risarcimento in denaro: ha chiesto a un tribunale federale di ordinare la “distruzione” di ChatGPT.

Se accolta, questa richiesta costringerebbe OpenAI a eliminare i suoi modelli linguistici di grandi dimensioni addestrati, come GPT-4, nonché i suoi dati di addestramento, il che impedirebbe all’azienda di ricostruire la propria tecnologia.

Questa prospettiva, come riporta la rivista Fast Company, apre due interrogativi. Un tribunale federale può effettivamente ordinare la distruzione di ChatGPT? E, in secondo luogo, se può, lo farà?

Secondo un esperto legale, la risposta alla prima domanda è sì. Secondo la legge sul copyright, i tribunali hanno il potere di emettere ordini di distruzione del materiale.

Finora la legge sul copyright non è mai stata utilizzata per distruggere i modelli di intelligenza artificiale ma il braccio di ferro è appena agli inizi.

(riproduzione autorizzata citando la fonte)

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