(Marco Emanuele)
Mai sottovalutando l’importanza di accordi come quello, promosso da Washington, tra Armenia e Azerbaijan e di prospettive che potrebbero aprirsi dall’incontro in Alaska tra Trump e Putin, il nostro sguardo sul mondo è realisticamente preoccupato.
Ieri evocavamo ‘tempi duri per il pensiero’. Perché, schierandoci dalla parte dell’umanità e del pianeta, notiamo una evidente insostenibilità sistemica. E’ venuto il tempo che gli intellettuali si interroghino su come saranno i futuri che ci aspettano, in una fase storica che presenta alcuni elementi molto sensibili dal punto di vista strategico: la liberazione degli spiriti animali; il consolidamento di una cultura della forza che alimenta l’esasperazione competitiva (non solo tra imprese e Stati ma all’interno delle comunità umane), anticamera di una violenza strutturale; a tutti i livelli, l’affermazione della difesa come modalità di rapporto con l’altro; la paura del mondo aperto e la scelta, ormai chiara, di abbattere il sistema multilaterale per affermare pratiche bilaterali più facili da gestire (soprattutto da parte dei più forti).
Il grande rischio, nel tempo della inarrestabile rivoluzione tecnologica (che, in quanto profondamente trasformante, è ciò che sta facendo e farà la differenza), è di pensare e agire secondo schemi consumati, utilizzando paradigmi culturali e operativi che non hanno più senso: guerra mondiale a pezzi, policrisi e rivoluzione tecnologica ci spiegano, peraltro insieme, che pace, giustizia, sviluppo e sicurezza devono trovare nuovi significati. Dobbiamo ricongiungerci con la complessità del reale.
Perché si possa parlare di futuri occorre riprendere in mano la complessità del dialogo, della mediazione e della visione storica: in una parola, dobbiamo ripensarci soggetti politici nel tempo nuovo. Ed è tutto da reinventare, nulla potrà più essere com’era pochi decenni fa. Su questo punto ci giochiamo la sostenibilità sistemica del destino planetario, ciò che, secondo complessità, lega indissolubilmente il destino umano a quello della nostra ‘casa comune’.
Tutti abbiamo la responsabilità di immaginare scenari alternativi e di non sprecare tempo ed energie in distrazioni di massa che intralciano il cammino di un pensiero complesso per l’azione politica. Pur guardando con interesse ai compromessi che possono dare tregua in contesti difficili, c’è qualcosa di più grande: fuori dagli schieramenti, dentro la realtà, siamo chiamati a riappropriarci della politica.
(English version)
Without underestimating the importance of agreements such as the one promoted by Washington between Armenia and Azerbaijan, and of the prospects that could open up from the meeting in Alaska between Trump and Putin, our view of the world is realistically concerned.
Yesterday, we evoked “hard times for thinking”. Because, by siding with humanity and the planet, we see clear systemic unsustainability. The time has come for intellectuals to ask themselves what the future holds for us, at a time in history that presents some very sensitive elements from a strategic point of view: the liberation of animal spirits; the consolidation of a culture of force that fuels competitive exasperation (not only between companies and states but also within human communities), a precursor to structural violence; at all levels, the affirmation of defence as a way of relating to others; the fear of the open world and the now clear choice to dismantle the multilateral system in order to establish bilateral practices that are easier to manage (especially by the strongest).
The great risk, in this era of unstoppable technological revolution (which, as a profoundly transformative force, is what is making and will continue to make the difference), is to think and act according to outdated patterns, using cultural and operational paradigms that no longer make sense: a fragmented world war, multiple crises and technological revolution all tell us that peace, justice, development and security must find new meanings. We must reconnect with the complexity of reality.
In order to talk about the futures, we need to take up again the complexity of dialogue, mediation and historical vision: in a word, we need to rethink ourselves as political players in the new era. Everything needs to be reinvented; nothing can be as it was a few decades ago. On this point, we are gambling with the systemic sustainability of the planet’s destiny, which, according to complexity, inextricably links the destiny of humanity to that of our “common home”.
We all have a responsibility to imagine alternative scenarios and not to waste time and energy on mass distractions that hinder the path of complex thinking for political action. While looking with interest at compromises that can bring respite in difficult contexts, there is something greater: outside the camps, inside reality, we are called to reclaim politics.