(Carlo Rebecchi)
Sorrisi, freddi ma pur sempre sorrisi, a Davos. E missili e tanti altri ordigni bellici sul terreno: a Gaza, dove continua l’offensiva di Israele contro Hamas, nel Golfo e anche oltre: missili iraniani hanno colpito negli ultimi tre giorni obiettivi definiti ‘terroristici’ in Siria, Iraq e perfino in Pakistan. La temuta ‘regionalizzazione’ del conflitto Hamas-Israele non c’è ancora, così come non ci sono stati nelle ultime ore muovi attacchi USA-GB contro gli Houthi. I quali hanno ribadito comunque che combatteranno gli USA e Israele ‘fino a quando Israele bombarderà Gaza’.
In realtà una guerra globale ci sarà soltanto quando qualcuno avrà interesse a provocarla per trarne profitto. Ed oggi nessuno dei Paesi della regione o d’altrove, e neppure gli Houthi che gli Stati Uniti hanno appena reinserito tra i gruppi catalogati come ‘terroristi’, pensa di poterne trarre vantaggio. Eppure proprio il Golfo è, con il Mare di Cina, per il direttore dell’Istituto francese di relazioni internazionali (Ifri) Thomas Gomart, l’area dove potrebbe scoppiare presto una nuova guerra.
Gomart – autore di un libro intitolato ‘L’Accélération de l’histoire’ (I nodi geostrategici di un mondo fuori controllo, ed. Tallandier) – ha dichiarato a Le Monde che ‘l’Occidente, e gli europei in particolare, non possono non rendersene conto perché non solamente sono dipendenti dai rapporti sino-americani ma anche, e sempre più, dalla crescente autonomia strategica dei paesi del Golfo, esportatori di idrocarburi, finanziatori della loro transizione strategica e acquirenti di tecnologie militari’.
L’Iran, da tutti visto come l’ispiratore di ogni manovra anti-israeliana e anti-americana nel Golfo, ha spiegato i bombardamenti in Pakistan, Siria e Iraq con la necessità, per la propria sicurezza, di colpire le basi dei ‘terroristi’ anti-iraniani in questi Paesi. Con ‘una risposta proporzionata, dura e decisiva’, ha precisato il ministro della difesa Mohammad Reza Ashtiani, mentre da Davos, sul conflitto Israele-Hamas, il titolare degli esteri Hossein Amizabollahian ha invitato Israele a ‘non legare il proprio destino a quello di Netanyahu’.
Dalla stazione sciistica svizzera, sulla questione Taiwan ha parlato il segretario di Stato Antony Blinken per sottolineare che la pace e la stabilità nel distretto di Taiwan ‘riguardano l’intero pianeta’ e gli Stati Uniti sono al fianco di Taipei. Blinken ha garantito che gli Usa vogliono risolvere i contrasti con la Cina (compresi quelli sulla fornitura di armi a Taiwan) ‘in maniera pacifica’. Qualche ora prima, sempre a Davos, il premier cinese Li Qiang aveva assicurato che ‘il mercato cinese è un’opportunità, non un rischio’.
Perché, allora, il pericolo di una guerra attorno a Taiwan? ‘Non si può pensare alla guerra in Ucraina come qualcosa che si tiene in un cassetto. Così come il conflitto tra Israele e Hamas, le tensioni per Taiwan nel Mare di Cina, o la frammentazione del Sahel. Tutte queste crisi sono collegate da un effetto-sponda. (…) Il Mar di Cina è già una zona d’operazione dove ogni azione militare provoca una reazione militare. Ed è anche un centro di gravità geo-economico. Basta vedere le reazioni degli attacchi alle navi nel Mar Rosso sul commercio internazionale per immaginarsi le conseguenze di una crisi acuta nello stretto di Taiwan’.
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