Ciò che è successo ieri a Roma chiama tutti a ripensare la sostanza democratica. Condannare è il minimo che si possa fare ma, evidentemente, non basta più. Se è vero che parliamo di minoranze rumorose e violente (e anche organizzate), a Roma è andato in scena un problema ben più grande.
Le immagini di guerriglia urbana che abbiamo visto mi portano alla mente una riflessione che non può aspettare: la cara democrazia, infatti, è in evidente stato di de-generazione. Si è smarrita la basica capacità di dialogo, assolutizzata la parte di dialogo solo dialettica.
E’ venuto, anche se non è mai finito, il tempo degli intellettuali, di chi ha il dovere di porre in evidenza una direzione e di lavorare a condividere visioni di convivenza. Siamo, dicevo, nell’evidente radicalizzazione in una dialettica esasperata nella quale ciascuno porta e pone le proprie convinzioni come Verità. La democrazia, che porta dentro la sua de-generazione (la storia insegna), si sostiene in termini di diritti e libertà laddove condivide un dialogo non solo dialettico ma anche dialogale, profondo, effettivo.
Se tutti abbiamo il diritto di contestare il potere e le sue scelte, mai dimenticando che – in quanto cittadini – siamo potere, nessuno ha il diritto di farlo sopravanzando l’altro, spezzando l’equilibrio fragile della democrazia che è continua sintesi tra interessi diversi, anche divergenti: mediazione e progetto sono le parole-chiave del nostro vivere-in-comune.
Se condannare non basta più, è necessario riconvertire l’astensionismo in un lavoro progettuale, in una nuova stagione comunitaria d’impegno pubblico. Questo è un appello a tutti coloro che si sentono estranei alla politica. Attenzione perché, come si sa, in politica i vuoti non esistono: prima o poi, infatti, qualcuno li riempie.