(Maria Eva Pedrerol)
La destra populista ha trionfato in Cile ed ora inizia un nuovo corso con José Antonio Kast che si accinge ad assumere la Presidenza del Paese, confermando l’ondata di destra che avanza in tutta l’America Latina, dall’Argentina di Milei, all’Ecuador, al Paraguay, alla Bolivia.
È l’onda dei populisti che hanno saputo ‘intercettare’ il voto degli elettori, stanchi della violenza, impauriti dalle immigrazioni massive e dalla crisi economica e climatica che hanno portato altra povertà e crescente diseguaglianza.
Fin qui l’analisi spot, quella più facile da individuare e che di fatto sigla un cambio radicale nel Paese, un esito comunque già scritto nei sondaggi e che ha visto quasi sedici milioni di cileni chiamati alle urne, per la prima volta con la introduzione del voto obbligatorio.
Ora gli occhi sono puntati a come Kast realizzerà i punti forti della sua campagna elettorale tutta centrata sull’ordine, la sicurezza e la lotta all’immigrazione: tra le promesse di Kast vi è la costruzione di centri di detenzione per i migranti clandestini. Va ricordato che, in Cile, molti immigrati sono venezuelani che fuggono dalla dittatura di Maduro.
Mentre su questi temi il quadro è sufficientemente chiaro, meno chiare sono invece sono le politiche economiche neoliberiste del neo-Presidente. Tutti gli osservatori si domandano quale sarà la sua politica nei prossimi quattro anni, ma soprattutto se ci si trovi di fronte ad un cambio di governo oppure ad una svolta autoritaria che sembra allargare sempre di più i propri confini (Argentina, Ecuador, Honduras, Perù, Paraguay e Bolivia).
Le cause di questo successo sono legate essenzialmente a voler trovare nuove risposte per arginare la violenza, le diseguaglianze e per limitare l’immigrazione vista come minaccia e causa del degrado sociale. In particolare, l’aumento della criminalità, dovuta al narcotraffico e alle lotte fra bande rivali, ha raggiunto indici insostenibili, con tassi di omicidi da record. Tutto ciò ha spinto migliaia di persone a fuggire nei Paesi vicini, innescando però una ondata di rifiuto e paura nelle nazioni di arrivo. E non solo. La corruzione, i cambi climatici e la difficilissima vita sia nelle grandi metropoli sudamericane che nelle campagne ha creato una situazione esplosiva, di cui la destra ha saputo trarne vantaggio.
In questa complessità di cause, bisogna considerare anche un altro fattore. ‘La crisi del patriarcato e la mobilitazione delle donne per i loro diritti – scrive Manuel Castells sul giornale ‘La Vanguardia’ di Barcellona – che ha causato in Spagna e in altri Paesi del Sud America, una forte reazione da parte dell’elettorato maschile, (anche tra gli uomini più giovani) che non vuole perdere il proprio potere millenario’. Cosi ‘sessismo, razzismo, xenofobia, nazionalismo si mischiano – osserva Castells – e si cerca una soluzione nel ristabilimento dell’autorità tradizionale appoggiata sulla forza’. Si tratterebbe di una questione meno esplorata rispetto alle cause economiche e sociali.
Sta di fatto che la vittoria di Kast in Cile segna un’altra batosta per la sinistra democratica in America Latina, i cui ultimi baluardi sono rimasti, tra mille difficoltà, il Messico di Claudia Sheinbaum, il Brasile di Lula da Silva e l’Uruguay del presidente Orsi. Tra le mille complessità del sub-continente, le forze progressiste dovranno soorattutto affrontare una profonda analisi delle cause che hanno portato a spezzare il filo di comunicazione con le persone e i loro bisogni più impellenti. Una riflessione che aspetta al varco anche l’Europa e gli Stati Uniti.



