(Marzia Giglioli)
Gender e geopolitica, gli stessi confini del male. Senza empatia l’eterno conflitto tra uomo e donna, tra i popoli e gli Stati
Non esistono maschi progressisti, scrive oggi la Repubblica: “più gli verranno sottratti la supremazia, la sicurezza e il predominio, tanto più l’uomo si sentirà fragile e combatterà disperatamente. La fragilità rende spaventosi”.
Fragilità che genera violenza. Ma non basta a spiegarne l’epilogo.
C’è una radice profonda della violenza contro l’altro. Tra uomo e donna, tra uomini e uomini, tra Stato e Stato, tra chi difende un confine e non accetta quello dell’altro. È davvero un problema di confini. Si confligge per queste linee immaginate senza cercare soluzioni diverse che non siano l’annientanento dell’altro.
È la de-umanizzazione che esplode. La radice è drammaticamente culturale, generata dall’idea della giustificazione (che radicalizza in molti casi la violenza necessaria). Succede tra le persone. Succede tra uomo e donna, succede tra gli Stati.
Nessuna cultura ha davvero in sé l’applicazione assoluta dell’empatia. Non c’è nessuna cultura senza guerra. Su questo le società dovrebbero interrogarsi, ed è questo anche l’interrogativo ‘presente’ nel ‘futuro’ tecnologico: i robot sapranno essere empatici senza che noi lo siamo ?
Il futuro tecnologico che si profila potrebbe espandere la non cultura di genere e quella della eternità conflittuale, allontanando l’obiettivo
dell’ intelligenza emotiva, la sola in grado di annullare ogni forma di discriminazione, di genere, di religione, di cittadinanza, eliminando il pregiudizio che troviamo anche nei bias dell’intelligenza irtificiale, emanazioni delle nostre brutte matrici.
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