(Maria Eva Pedrerol)
Sul clima, l’esito di COP30 delude, ma almeno è stato evitato un fallimento. Al termine di quasi due settimane di trattative serrate, i quasi 200 Paesi riuniti a Belém (Brasile) per la 30ma Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici hanno raggiunto un accordo debole, senza l’inclusione di una tabella di marcia per l’abbandono graduale dei combustibili fossili. l punti di forza del documento rimangono l’apertura a prospettive di confronto sul taglio delle emissioni e la proposta di triplicare i fondi per l’adattamento entro il 2035.
Lo scontro sui combustibili fossili ha rischiato di far fallire la Conferenza sul clima: la presidenza brasiliana del Vertice e il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, ce l’hanno messa tutta per far superare l’impasse. Diversi Paesi produttori di petrolio, come la Russia e l’Arabia Saudita si sono opposti alla roadmap sui fossili (petrolio, carbone e gas). Il fronte del ‘no’ ha visto a Belém più di 1.600 lobbisti del settore. Mentre circa 80 Paesi, tra cui l’Europa in prima linea, chiedevano a gran voce una tabella di marcia con questo proposito.
“La scienza ha prevalso, il multilateralismo ha vinto”, ha affermato il Presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, commentando i risultati del summit. “Nell’anno in cui il pianeta ha superato per la prima volta il limite di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali – ha spiegato Lula – la comunità internazionale si è trovata di fronte a una scelta: continuare o rinunciare. Abbiamo scelto la prima opzione”. Più dubbiosa l’Alleanza di 39 piccoli Paesi insulari e costieri, i quali soffrono di più l’impatto dei cambiamenti climatici, soprattutto per il conseguente innalzamento del livello dei mari. Per l’Alleanza si tratta di un accordo “imperfetto”, ma, ammettono, si tratta anche di un segnale di “progresso”. Per il ministro italiano dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin “l’accordo trovato era l’unico davvero possibile”.
Molto positivi invece i commenti del capo della delegazione cinese Li Gao. “Sono soddisfatto del risultato”, ha sottolineato. “Abbiamo raggiunto questo successo – ha aggiunto – in una situazione molto difficile “. La Cina è stata una delle grandi protagoniste di questo summit. Il gigante asiatico ha scommesso già da qualche anno sulla green economy e le rinnovabili, controllando più dell’80% del mercato dei pannelli fotovoltaici. Pechino detiene inoltre Il 70% delle terre rare e controlla circa il 60% delle batterie al litio.
La Cina continua palesemente a spingere in direzione di una svolta energetica, mentre Donald Trump dà altri segnali e, dopo aver firmato l’ordine esecutivo per l’uscita degli USA dagli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, la COP30 ha registrato l’assenza di una delegazione ufficiale statunitense, un dato che ha suggerito ad alcuni commentatori l’interrogativo se sia stato un bene o un male. Sullo sfondo c’è sempre l’ambizioso obiettivo di non superare 1,5 gradi di temperatura con gli scienziati che avvertono della necessità di mantenersi entro questo limite cruciale. Ma quanto peserà la posizione degli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici è tutto da vedere.



