(Marco Emanuele)
Il nostro lavoro di ricerca complessa per una rinnovata filosofia della storia muove lungo tre pilastri fondamentali: (i) la consapevolezza che non potrà tornare l’ordine mondiale che conoscevamo; (ii) l’impatto profondamente trasformante della rivoluzione tecnologica; (iii) la crescente fragilità dei sistemi sociali e istituzionali.
Un mondo, in particolare una idea di mondo, appartiene al passato. Ragioneremo di alcune grandi conquiste, come il multilateralismo, da rivitalizzare: ciò che è chiaro è che la trasformazione del potere in sé, e dei rapporti di potere (attori statali e non), ci pone di fronte a un bivio strategico. Chi come noi è appassionato di politica ha la responsabilità, anzitutto intellettuale, di muovere una critica radicale (che non significa antagonista): ciò che oggi chiamiamo politica è solo un tentativo di amministrazione dell’esistente, di fatto fondato sul compromesso (in luogo della mediazione) e sostanzialmente senza visione storica. Tale presa atto appartiene sia ai partiti di maggioranza (al governo) che a quelli di minoranza (all’opposizione): è questione sistemica.
Il tema più rilevante, che ha conseguenze dirette sulla qualità delle nostre vite, è la crisi de-generativa del paradigma politico. Anziché cedere ai fragili richiami delle propagande, i cittadini dovrebbero ragionare sulle ragioni e sulle conseguenze di tale crisi de-generativa e comprenderne la gravità. Di fatto, siamo dentro un mondo a-politico, governato da formidabili interessi di vario genere: condividiamo gli appelli al rafforzamento delle istituzioni rappresentative ma, altrettanto, consideriamo l’urgenza di un rinnovato approccio alla complessità e all’incertezza crescenti. Il passaggio dall’a-politico al politico è fattore strategico ma ci ritroviamo privi di paradigmi culturali e operativi, i vecchi non più utilizzabili perché tarati su un mondo che non c’è più.
Le parole delle cosiddette classi dirigenti si scontrano con il terremoto che sta riscrivendo l’impianto complessivo della governance planetaria. Sembrano consolidarsi gli spazi nei quali il male banale (violenza diffusa), le reti terroristiche e criminali, gli autoritarismi e i loro proxy cercano di ritagliarsi una posizione: in questo panorama tutti abbiamo la responsabilità di re-immaginare lo spirito e l’esperienza democratica, facendo attenzione ai nuovi significati che avanzano. Complessità impone che, se nulla sarà più com’è stato, a trasformarsi deve essere anzitutto il nostro pensiero nel mondo.
(English version)
Our complex research work for a renewed philosophy of history is based on three fundamental pillars: (i) the awareness that the world order we knew cannot return; (ii) the profoundly transformative impact of the technological revolution; (iii) the growing fragility of social and institutional systems.
A world, or rather an idea of a world, belongs to the past. We will discuss some great achievements, such as multilateralism, that need to be revitalised: what is clear is that the transformation of power itself, and of power relations (state and non-state actors), places us at a strategic crossroads. Those of us who are passionate about politics have a responsibility, above all an intellectual one, to offer radical (which does not mean antagonistic) criticism: what we call politics today is merely an attempt to administer the existing order, based in fact on compromise (rather than mediation) and essentially without historical vision. This observation applies to both majority parties (in government) and minority ones (in opposition): it is a systemic issue.
The most relevant issue, which has direct consequences on the quality of our lives, is the degenerative crisis of the political paradigm. Instead of giving in to the fragile appeals of propaganda, citizens should reflect on the reasons and consequences of this degenerative crisis and understand its seriousness. In fact, we are living in an apolitical world, governed by formidable interests of various kinds: we agree with calls to strengthen representative institutions, but we also consider the urgent need for a renewed approach to growing complexity and uncertainty. The transition from apolitical to political is a strategic factor, but we find ourselves without cultural and operational paradigms, the old ones no longer usable because they are calibrated to a world that no longer exists.
The words of the so-called ruling classes clash with the earthquake that is rewriting the overall structure of planetary governance. The spaces in which banal evil (widespread violence), terrorist and criminal networks, authoritarianism and their proxies seek to carve out a position for themselves seem to be consolidating: in this landscape, we all have a responsibility to re-imagine the spirit and experience of democracy, paying attention to the new meanings that are emerging. Complexity dictates that, if nothing will ever be the same again, the first thing that must change is our way of thinking in the world.
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