La diplomazia, quella vera, è arte nobile proprio perché si cala dentro i rapporti di forza, li conosce e li percorre, sporcandosi le mani. Un diplomatico non può essere lineare perché il fine del suo lavoro è di ri-avvicinare le parti, tentare soluzioni, ri-congiungere gli opposti.
Ogni giorno vediamo, anche al tempo della ‘guerra mondiale a pezzi’, la diplomazia all’opera. Pur nella riservatezza, sappiamo che non cessano i dialoghi tattico-strategici e questo è fondamentale, anche durante una ‘guerra guerreggiata’, per evitare che si superi il limite oltre il quale è bene non avventurarsi. Gli analisi strategici sanno quanto questo sia importante rispetto alla guerra in Ucraina, ai rapporti tra USA e Cina e, in queste ore, a quelli tra Turchia e NATO sia per l’ingresso della Svezia che per molto altro.
La diplomazia fa molto, lo sappiamo, e ne abbiamo bisogno. Essa, però, dovrebbe nutrirsi di un ampio investimento, anzitutto culturale, nella re-istituzione della politica. Punto dolentissimo, da più di trent’anni viviamo una condizione profondamente apolitica, immersi nella geoApolitica: ci mancano visioni geostrategiche.
Ciò che viviamo, in fondo, sono ancora i colpi di coda di un ‘900 che fatichiamo ad archiviare. E’ molto difficile, infatti, comprendere e governare la realtà di un mondo multipolare: è un mondo percorso dall’incertezza, di crescente complessità e nel quale le grandi strategie di ri-composizione del potere devono confrontarsi ogni giorno con la realtà difficile di comunità umane divise, impaurite, sfiduciate, disuguali. Per questo, dall’alto al profondo (e ritorno), sottolineiamo il valore irrinunciabile della diplomazia, arte non solo dei diplomatici di professione ma di quanti vogliano lavorare per nuovi dialoghi intrapersonali, interpersonali e globali (le tre dimensioni-in-una).
Molto spesso classifichiamo la parola ‘mediazione’ come un arnese antico e non più utilizzabile. Sappiamo che non è così e che la re-istituzione politica, per la ricostruzione della speranza, passa attraverso un paziente lavoro di ri-cucitura, ri-pensamento, ri-fondazione: ne va della sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi, in un quadro in radicale e profonda trasformazione nel quale i segni del ‘male banale’ pesano come macigni.