In Africa è finita una guerra, almeno sulla carta. Il governo etiope e i ribelli del Tigrai hanno firmato un accordo di pace a due anni dall’inizio del conflitto. Quella che è stata definita ‘la peggiore crisi umanitaria al mondo’ è costata la vita a mezzo milione di persone, ha creato tre milioni di profughi e ha spinto cinque milioni di etiopi sull’orlo della fame. Ma da questa tragedia potrebbe nascere un’occasione di pace e democrazia per l’Africa. L’accordo, raggiungo dopo dieci giorni di trattative a porte chiuse in Sudafrica, riafferma i principi cardine di giustizia che i negoziatori africani hanno messo a punto negli ultimi trent’anni: pazienza, umiltà e riconciliazione. Prevede la fine immediata delle ostilità, il disarmo dei combattenti tigrini e la loro integrazione nell’esercito etiope, e il libero afflusso degli aiuti umanitari nella regione. Ma anche un compromesso tipicamente africano: da un lato riafferma l’integrità territoriale dell’Etiopia e ‘il ritorno dell’ordine costituzionale in Tigray’, dall’altro promette ‘un sistema di giustizia di transizione per garantire la verità e la riconciliazione’. Queste misure cercano un equilibrio tra il desiderio del premier Abiy Ahmed di guidare un paese che non sia più solo un instabile insieme di gruppi etnici e la paura dei tigrini di perdere il diritto all’autodeterminazione.
fonte: The Christian Science Monitor



