Tecnologia, divari crescenti e crisi della globalizzazione

La “quarta rivoluzione industriale” ci trasforma e trasforma l’intera realtà. Ciò è sempre avvenuto. Scrive Bremmer (Il potere della crisi, 2022, pp. 134 e 135): Non c’è niente di nuovo nei cambiamenti tecnologici che eliminano posti di lavoro, e sappiamo dalle passate rivoluzioni tecnologiche che verranno creati nuovi lavori e nuovi tipi di lavori. E’ del tutto possibile ma per nulla scontato che la tendenza all’automazione crei pià posti di lavoro di quanti ne distruggerà. Queste transizioni non sono mai state ordinate, e questa volta in assoluto sarà la più accidentata, perché si sta verificando a una velocità esponenzialmente  superiore a tutte quelle che l’hanno preceduta. Molti lavoratori non saranno mai in grado di acquisire le competenze necessarie a svolgere lavori che richiedono esperienza nell’uso di tecnologie avanzate. Per chi riuscirà ad adattarsi, la transizione sarà difficile; la riqualificazione costa tempo e denaro. Inoltre, molti immigrati, anche quelli ben istruiti, si integrano nei paesi d’adozione partendo da lavori manuali e di servizio; se in futuro ci sarà meno richiesta di esseri umani per lavori di questo tipo, molti immigrati non saranno in grado di inserirsi.

Le generazioni più giovani, allenate alla velocità portata dalle innovazioni tecnologiche, si adatteranno meglio delle generazioni successive che, invece, saranno costrette a un cambio di passo professionale non sempre facile. La radicalità della rivoluzione tecnologica metterà in serio pericolo i lavori più ripetitivi e richiederà, per stare sul mercato, nuove competenze transdisciplinari. Non basterà la formazione permanente perché molta sarà la distanza tra coloro che dovranno essere formati e la realtà del mondo del lavoro. La rivoluzione tecnologica, inoltre, porrà in crisi l’intero processo dell’educazione e della formazione. Cultura scientifica, cultura tecnologica e cultura umanistica dovranno essere sempre di più parte di un unico mosaico: la conoscenza, nel tempo della megacrisi e della quarta rivoluzione industriale, non può che essere complessa. Lo Stato dovrà ripensare profondamente il proprio ruolo. In una rivoluzione tecnologica strutturale, non saranno più sufficienti sussidi spot o politiche dal sapore assistenzialistico: ci vorranno politiche adeguate alla grande “trasformazione glocale” del mondo. Occorrerà evitare, con visione strategica, che la tempesta portata dalla crescente innovazione tecnologica diventi fattore di nuove disuguaglianze. Bremmer (op. cit., p. 135) scrive, con riferimento a coloro che potrebbero trovarsi sul lato negativo di questo trend inarrestabile, di shock postindustriale. A essere più colpiti saranno i lavoratori con reddito più basso. Nota ancora Bremmer (op. cit., p. 135): Lo shock postindustriale colpirà i lavoratori con redditi più bassi per primi e in quantità ben superiori a qualsiasi altra tipologia. Nel 2016 il Council of Economic Advisers del presidente Obama ha previsto che l’83 per cento di chi svolgeva lavori retribuiti meno di venti dollari all’ora correva un alto rischio di essere sostituito dalle macchine. Tra chi guadagna più di quaranta dollari l’ora la percentuale scende ad appena il 4 per cento.

A preoccupare non c’è solo il futuro del lavoro ma, soprattutto, il futuro della salute: basti pensare, come scrive Bremmer (op. cit., p. 137) che chi nasce oggi in Giappone vivrà in media fino a ottantacinque anni; il nigeriano medio sarà fortunato se arriverà a cinquantasei. L’accesso disuguale alle migliori tecnologie sanitarie è il motivo principale di questa discrepanza, ma anche all’interno dei singoli paesi le disparità tra ricchi e poveri stanno aumentando.

Le nostre società sopporteranno un “divide” tra chi potrà permettersi di vivere e chi no ? Riprendiamo ancora Bremmer (op. cit., p. 137): Quando arriverà la prossima crisi sanitaria globale, queste nuove tecnologie (di sanità digitale, NdA) potranno separare ancora più nettamente i ricchi dai poveri, e quelle che consentiranno di individuare più facilmente i contagi potranno isolare ancora di più le persone prive di un’assistenza sanitaria di qualità, la cui diffidenza nei confronti di un sistema che le esclude non potrà che aumentare. Qualcuno potrà permettersi la medicina personalizzata tramite tecnologie che mappano e analizzano il nostro DNA. Usando le informazioni emerse da queste analisi, gli operatori sanitari possono sviluppare terapie ad hoc in base ai rischi e ai vantaggi genetici di una persona. Chi potrà permettersi questi trattamenti vivrà vite più lunghe e più sane. Chi non potrà permettersele no.

Il “divario digitale” esiste anche tra i vari paesi e, come le questioni legate al lavoro e alla salute, incide sulla sicurezza complessa dei mondi e del mondo. Bremmer (op. cit., p. 139): (…) stiamo già assistendo all’aumento del divario digitale tra i vari paesi. Negli ultimi cinquant’anni la tendenza dominante nella politica e nell’economiaa internazionale è stata quella che nel 2008 Fareed Zakaria ha definito “l’ascesa degli altri”: l’emergere di Cina, India e Brasile e di altri paesi in rapido sviluppo, insieme alla creazione di un ceto medio globale, resa possibile dalla libera circolazione di idee, informazioni, persone, capitali, beni e servizi, che ha sottratto alla povertà miliardi di persone. Le nuove tecnologie stanno invertendo quel processo. Le diverse velocità di connessione a internet si traducono in differenti tassi di crescita economica, una dinamica che mette i paesi più ricchi e i quelli più poveri su percorsi divergenti. I paesi che negli ultimi decenni hanno tratto più vantaggio dalla globalizzazione, in particolare in Africa, vedranno svanire molti dei loro progressi. Ancora Bremmer (op. cit., pp. 139 e 140): Il divario digitale assume così tante forme che sono un investimento realmente globale nella riduzione di questi scompensi – e una regolamentazione efficace delle imprese restie a modificare modelli di business che sulla divisione di opinioni e persone generano profitti – può invertire una tendenza che destabilizzerà intere società in maniera del tutto inedita. Quantomeno oggi i rischi legati alle future crisi sanitarie e al cambiamento climatico sono compresi e gestiti meglio, benché non abbastanza velocemente. Ma sulle nuove tecnologie emergenti stiamo andando esattamente nella direzione sbagliata.

L’inversione del processo di crescita di cui scrive Bremmer è, a nostra valutazione, da addebitarsi principalmente alla irresponsabilità di classi dirigenti a-politiche che hanno del tutto trascurato l’incertezza della realtà, che si sono soddisfatte di competizione e di linearità e che non hanno saputo mediare i rapporti di potere e pre-vedere.

Il tema di ciò che vivremo, in un futuro già presente, deve essere parte di un pensiero strategico in continua evoluzione. La staticità delle certezze dovrà lasciare il posto alla dinamicità di nuove soluzioni politiche nell’incertezza della realtà. Per questa ragione, il modello globalizzato già non è più sostenibile e occorre, tra competizione e cooperazione, ri-pensare il quadro planetario in un contesto di glocalizzazione. Il problema, oltre che culturale, è soprattutto politico.

In collaborazione con The Science of Where Magazine

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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