Giudizio storico. Spunti (25 maggio 2022)

  • La Chiesa dell’ascolto. Tante parole si sono spese, in queste ultime ore, per comunicare l’elezione del Cardinale Matteo Zuppi a Presidente della CEI. Una brevissima considerazione: tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, aspettiamo che la vita ci regali un Maestro. In questo caso, per chi lo ha conosciuto, sa che Don Matteo è un vero Maestro perché è un vero Pastore e questo basta per descriverne le qualità: un uomo di fede,  profondamente umano. Buon lavoro, Matteo !
  • Profondità di pace. Il Babyn Yar è uno spazio di morte: in questa radura, segnata da gole e fossati, tra il 29 e il 30 settembre 1941, furono massacrati oltre 33mila ebrei. Trasformato ora in un giardino ricolmo di lillà, il Memoriale è stato sfregiato, qualche settimana fa, dalle bombe dell’aviazione di Mosca, venuta – secondo la propaganda putiniana – a “denazificare” l’Ucraina. Proprio là, una delegazione di oltre una decina di leader religiosi, giunti da varie parti del mondo, ha voluto cominciare la propria missione di solidarietà, ripetendo più e più volte la parola “pace”, declinata dai partecipanti in lingue e formulazioni, a seconda della fede di ciascuno (da Avvenire, 25 maggio 2022, di Lucia Capuzzi, Leader religiosi del mondo a Kiev: “Siamo qui per seminare la pace”)
  • Le relazioni pericolose. Nel pieno della guerra in Ucraina, e nel mezzo delle condanne internazionali contro Mosca, c’è un Paese, il Camerun, che non si è fatto problemi a firmare un accordo di cooperazione militare con la Russia, allontanandosi in questo modo dalla Francia. E’ l’Africa che sceglie da che parte stare e che, davanti alla possibilità di addestramento congiunto, di aiuti militari e, magari, di armi, si fa pochi problemi. Il Camerun come il Mali e la Repubblica Centrafricana, dove già hanno messo piede i mercenari della compagnia russia Wagner, il Camerun di uno dei capi di Stato più longevi al potere, quel Paul Biya che è presidente dal 1982 (…) e che ha promesso e attuato il pugno di ferro contro la minoranza anglofona. La guerra in corso nelle regioni del nord-ovest e del sud-ovest del Paese è una delle più dimenticate al mondo. Esplosa il 9 settembre 2017 (ormai 1.719 giorni fa) con la dichiarazione di guerra da parte del Consiglio di difesa dell’Ambazonia e con la dichiarazione d’indipendenza dal Camerun francofono, il conflitto ha causato finora oltre 6mila morti e 800mila sfollati e determinato una situazione di totale insicurezza nella regione. (da Avvenire, 25 maggio 2022, Paolo M. Alfieri, Il Camerun spaccato si affida all’asse militare con Mosca)
  • Voli minacciosi. Pechino e Mosca hanno “salutato” la presenza in Asia del presidente americano Joe Biden a modo loro. Facendo alzare i caccia. Mentre a Tokyo andava in scena il vertice dell’alleanza Quad – che ha riunito attorno a un tavolo i leader di Stati Uniti, Giappone, Australia e India – bombardieri cinesi e russi hanno volato insieme (provocatoriamente ?), sfiorando a più riprese il territorio giapponese. Per tutta risposta, il Giappone ha fatto decollare i suoi jet, esprimendo poi, attraverso i canali diplomatici, “gravi preoccupazioni” per l’accaduto sia alla Russia che alla Cina. Le trame aeree che si sovrappongono fino a oscurare la tela diplomatica sono la plastica raffigurazione del momento di alta tensione ma soprattutto della fragilità della politica, sempre più esposta al ricatto delle armi. (da Avvenire, 25 maggio 2022, Luca Miele, Le accuse, le minacce e caccia russi e cinesi. Il tour di Joe Biden non ferma le tensioni)
  • Sullo sfondo, la fame. Gli allarmi delle principali istituzioni economico-finanziarie internazionali si susseguono ormai da settimane. L’ultimo messaggio, in ordine da tempo, arriva dal World Economic Forum di Davos. La comunità dei capi economisti del WEF prevede per il 2022 una minore attività economica, una salita dell’inflazione, salari reali più bassi e quindi pone l’accento su “una maggiore insicurezza alimentare a livello globale” e sottolinea le “devastanti conseguenze umane” della frammentazione dell’economia globale. Timori giustificati da statistiche e stime preoccupanti. Dalla nuova ricerca “Food Security and the Corning Storm”, diffusa da Eurasia Group e DevryBV Sustainable Strategies, il numero di persone che affrontano l’insicurezza alimentare a livello globale aumenterà fino a 243 milioni entro novembre, per un totale di 1,9 miliardi di persone. Il report, presentato a New York in occasione del vertice inaugurale dell’evento Global Citizen NOW, contiene previsioni e raccomandazioni politiche con cui affrontare questa crisi globale. (da Avvenire, 25 maggio 2022, Luca Mazza, “L’insicurezza alimentare salirà a 1,9 miliardi di persone”)
  • Morte senza pena. Esecuzioni capitali in netta ripresa nel 2021 in vari Paesi del mondo, con un incremento del 20%  rispetto all’anno precedente. A denunciarlo è Amnesty International, che ieri ha pubblicato il rapporto sulla pena di morte. “Nel 2021 – afferma l’Ong – c’è stato un preoccupante aumento delle esecuzioni e delle condanne a morte, in alcuni degli Stati già più prolifici, i cui tribunali hanno ripreso a funzionare a pieno regime con la fine delle restrizioni dovute alla pandemia”. In totale, nel 2021 si sono registrate 579 esecuzioni capitali in 18 Stati membri, contro 483 l’anno precedente. Anche se, avverte Amnesty segnalandolo come unico elemento positivo, il 2021 ha registrato il secondo numero più basso di esecuzioni dopo il 2020 rispetto al 2010. Tuttavia, dice l’Ong, si sospetta l’esecuzione segreta di migliaia di persone. In Cina, Corea del Nord e Vietnam. Il record assoluto lo ha segnato l’Iran, che nel 2021 ha registrato 314 esecuzioni, rispetto alle 214 dell’anno precedente. (da Avvenire, 25 maggio 2022, Giovanni Maria Del Re, Il boia è “guarito” dal Covid: 579 le esecuzioni nel mondo)
  • La Davos ucraina. Se c’è un’operazione politica in corso a Davos, che riapre dopo due anni e mezzo, non è di nessuna delle tradizionali grandi potenze del World Economic Forum. Non è degli Stati Uniti, che non ha mandato quasi nessuno del livello politico dell’amministrazione (eccetto l’inviato sul clima John Kerry). Non è della Cina – ha seguito l’esempio degli americani – né di Gran Bretagna e Francia, i cui leader non appariranno fra le montagne svizzere. L’operazione politica, questa settimana, è dell’Ucraina. Mentre la delegazione russa è stata messa al bando, Kiev manda a Davos il primo ministro Denis Shmyal, il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, tre vicepremier, sei parlamentari, il vertice della società nazionale del gas, quello di un colosso dell’acciaio, una lunga serie di consiglieri politici del governo e il sindaco di Kiev Vitaliy Klinchko. E naturalmente il presidente Volodymyr Zelensky, che ha dato in collegamento il discorso di maggiore impatto della settimana di Davos. Tanto attivismo ha due obiettivi: spingere gli europei a rafforzare le sanzioni e soprattutto convincere gli europei e gli americani a fornire non solo più armi ma armi diverse, offensive. Dice sulle ipotesi di una trattativa di pace Yuriy Vitrenko, amministratore delegato della società nazionale dell’energia di Kiev Naftogaz e uomo fra i più vicini a Zelensky: “Il punto molto chiaro al momento è che non vediamo nessuna opportunità di un compromesso non a causa nostra, ma perché Vladimir Putin non è pronto a negoziare”. Vitrenko dice qualcosa che lo stesso Zelensky ripete spesso in privato: “Il presidente russo capisce solo la forza, dunque dobbiamo mostrare più forza militare e solo allora Putin sarà pronto a venire al tavolo negoziale”. (…) Sarebbe questo il consiglio che stanno fornendo agli ucraini alcuni oligarchi russi ansiosi di vedere la fine della guerra e, soprattutto, delle sanzioni contro di loro. Il primo fra questi sarebbe Roman Abramovich, ma l’ex patron del Chelsea non sembra essere l’unico. Di certo serpeggia quasi dell’irritazione nella delegazione ucraina a Davos, per i dubbi che gli europei e gli americani non nascondono all’idea di fornire a Kiev armi offensive. Commenta un esponente di Kiev: “Non siamo dei pazzi, non cercheremo mai di invadere la Russia sul suo territorio, non vogliamo arrivare a Mosca”. (dal Corriere della Sera, 25 maggio 2022, Federico Fubini, L’offensiva ucraina al forum di Davos: “Adesso dateci armi più potenti”)
  • Ucraina: la versione di Kissinger. Henry Kissinger intervenendo al World Economic Forum di Davos ha detto che l’Ucraina dovrebbe cedere alcuni territori e accettare il ritorno allo status ante, ovvero nelle intenzioni dell’ex segretario di Stato di Nixon e Ford, con la Crimea formalmente sotto controllo russo e parte del Donbass informalmente controllata dai filorussi. Il timore di Kissinger è infatti che se entro due mesi negoziati seri in tal senso non saranno partiti ci sarà un’escalation e la difficoltà poi di chiudere il conflitto diventerà insormontabile. Oltre che l’instabilità e una guerra protratta questo porterebbe all’intensificarsi delle relazioni fra Russia e Cina, uno degli scenari che gli Stati Uniti sin dall’inizio hanno tentato di scongiurare. Le parole di Kissinger rispondono a un quesito che ormai da qualche settimana circola negli ambienti diplomatici americani e fra gli esperti: come ne usciremo ? Fonti molto vicine ai vertici del Dipartimento di Stato spiegavano che il timore a Washington è proprio quello di restare ingarbugliati in una situazione in cui fra continuo invio di armi, retorica trionfalista di Zelensky – ben foraggiata da alcuni ambienti statunitensi, Congresso in testa – e determinazione mostrata dai russi di non indietreggiare sul campo di battaglia, la via d’uscita non solo diventi difficile ma persino sempre meno visibile. Quella di Kissinger non è una posizione isolata. Il New York Times in un editoriale aveva ipotizzato la cessione di territori come un doloroso, ma necessario sacrificio. Al momento, non è la linea di Biden. Mentre si tentano canali di dialogo su questioni ad hoc (corridoi umanitari, grano e le comunicazioni militari per impedire incidenti), Washington è impegnata a rafforzare il dispositivo bellico di Kiev: sono arrivate armi per 3,9 miliardi di dollari. L’idea resta quella di indebolire Putin prima di aprire un negoziato. Ma le condizioni – ha ribadito Blinken – le sceglierà l’Ucraina. E finora Zelensky ha scartato decisamente l’ipotesi di cedere parti del territorio. (La Stampa, 25 maggio 2022, A.S., Kissinger: “Per un negoziato serio, servono concessioni. Zelensky dovrà cedere territori per ottenere la pace”)
  • Commercio o sicurezza ? Che qualcosa sia cambiato nelle leggi non scritte del World Economic Forum – quelle della globalizzazione post-1989 – si è avvertito ieri quando sul palco è salito Jens Stoltenberg. Ex premier norvegese, qualche mese fa ha congelato la propria nomina a governatore della Norges Bank perché la Nato gli ha chiesto di restare segretario generale per un anno in più. Era scoppiata la guerra in Ucraina e l’Alleanza atlantica non voleva aprire scontri interni per sostituirlo. In pochi giorni Stoltenberg ha messo da parte un ruolo di leadership in economia per uno di rilevanza geopolitica. E ieri a Davos ha espresso una visione in linea con questa scelta: “Molti di noi qui e io stesso abbiamo lavorato intensamente per un’economia globalizzata. Il libero commercio ci ha portato prosperità e ricchezza – ha detto -. Ma una parte di questo commercio, alcune interazioni con regimi autoritari, minano la nostra sicurezza. Le relazioni economiche con quei sistemi politici possono creare vulnerabilità”. (…) il segretario della Nato non pensava solo alla dipendenza dei Paesi europei dal gas di Mosca. E lo ha messo in chiaro quando ha iniziato a parlare della Cina e al ruolo delle aziende di Stato di Pechino nelle aste per la gestione delle reti di telecomunicazioni in 5G di ultima generazione di vari Paesi occidentali. “Quelle reti sono fondamentali, sono una questione vitale di sicurezza”, ha avvertito. Il norvegese è stato invece più comprensivo verso la Turchia, con cui si prepara a negoziare perché tolga il veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. (dal Corriere della Sera, 25 maggio 2022, Federico Fubini, La critica di Stoltenberg: “La globalizzazione ci ha illuso, la sicurezza vale più del commercio”) 
  • Luce sugli uiguri. Xinjiang Police Files. L’ultimo colpo di un gruppo di anonimi hackers accende per la prima volta i riflettori su una realtà sospettata ma mai finora arrivata alla prova dei fatti: la detenzione di massa degli uiguri dello Xinjiang. Da tempo le organizzazioni umanitarie internazionali provano a superare il muro – fisico e virtuale – eretto dalle autorità cinesi sulla sorte della minoranza turcofona di religione musulmana. Senza successo: per Pechino nella remota provincia centroasiatica non è in corso alcuna repressione, non ci sono campi di concentramento e gli istituti dove gli uiguri vengono “ospitati” non sono altro che scuole vocazionali dove giovani e meno giovani, uomini e donne, imparano un mestiere e diventano “buoni cittadini”, apprendendo leggi e costumi della Repubblica Popolare. Ora la Bbc, insieme ad altri media riuniti in consorzio, proprio mentre l’Alto commissario Onu ai diritti umani Michelle Bachelet si trova in visita nella provincia dell’Ovest cinese, pubblica una selezione di storie, con nomi, cognomi, immagini mai viste prima. In un dettagliato reportage, l’emittente britannica spiega che avesse ricevuto il materiale a gennaio, impiegando poi settimane per analizzarlo e verificarne l’autenticità con l’aiuto di Adrian Zenz, ricercatore tedesco già autore di diversi studi sull’argomento. (dal Corriere della Sera, 25 maggio 2022, Paolo Salom, Cina, ecco le immagini mai viste sulla repressione degli uiguri)

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Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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