In questo periodo, aprire un discorso di critica alla democrazia rappresentativa è necessario. Lo abbiamo scritto più volte: ciò che conta è salvaguardare l’esperienza democratica, sempre più attaccata e vilipesa nel tempo del bullismo geopolitico (né inatteso né fenomeno riconducibile all’oggi).
Lo show mediatico visto alla Casa Bianca ci mostra l’approccio yankee: nulla viene risparmiato, tanto meno il rispetto per i popoli, in questo caso quello ucraino, pur di salvare una visione di parte, certamente importante sul piano globale come quella degli Stati Uniti. Alcuni analisi e politici ‘lineari’ si limitano a dire che i bulli che arrivano al potere, o che guadagnano un forte consenso elettorale, sono votati dal popolo. E questo basti.
Non è così. I condizionamenti (interni ed esterni), nella realtà ‘onlife’, dove la dimensione fisica e quella digitale sono una cosa sola, fanno molto sulla qualità della rappresentanza che emerge dalle urne. Altrettanto, il rapporto diretto da leader e popolo, senza il ‘fastidio’ dei corpi intermedi e della mediazione istituzionale, aggrava la polarizzazione e porta inevitabilmente verso chi alza i toni, chi usa un linguaggio violento, chi trasforma la comunicazione politica e la pone al servizio della legge del più forte. Ancora, l’evidente crisi delle élite politiche porta a tutto questo, in un caos non creativo nel quale il capitalismo degli ‘spiriti animali’ diventa parte integrante del potere istituzionale.
Se vogliamo salvare l’esperienza democratica, quel complesso di principi-valori-buone pratiche che ci fanno vivere uniti-nelle differenze (verso il bene comune), lo strumento democratico (negli ultimi anni esaltato e modellizzato, addirittura esportato) può essere tranquillamente criticato. Solo l’avere cura dell’esperienza democratica può limitare la deriva delle ‘democrazie illiberali’, quelle che vediamo consolidarsi pericolosamente ogni giorno.
(English version)
During this period, it is necessary to open a discussion criticising representative democracy. We have written about it several times: what matters is safeguarding the democratic experience, increasingly attacked and vilified in this age of geopolitical bullying (neither unexpected nor a phenomenon that can be traced back to today).
The media show seen at the White House shows us the yankee approach: nothing is spared, least of all respect for peoples, in this case the Ukrainian people, in order to save a biased vision, certainly important on a global level like that of the United States. Some ‘linear’ analyses and politicians limit themselves to saying that bullies who come to power, or who gain a strong electoral consensus, are voted for by the people. And that’s enough.
This is not the case. The conditioning (internal and external), in the ‘onlife’ reality, where the physical and digital dimensions are one and the same, have a great effect on the quality of the representation that emerges from the ballot box. Likewise, the direct relationship between leaders and the people, without the ‘annoyance’ of intermediate bodies and institutional mediation, aggravates polarisation and inevitably leads to those who raise their voices, those who use violent language, those who transform political communication and put it at the service of the law of the strongest.
Furthermore, the evident crisis of the political elite leads to all this, in a non-creative chaos in which the capitalism of ‘animal spirits’ becomes an integral part of institutional power.
If we want to save the democratic experience, that complex of principles-values-good practices that allow us to live together in our differences (working towards the common good), the democratic instrument (which in recent years has been exalted, modelled and even exported) can be safely criticised. Only by taking care of the democratic experience we can limit the drift towards ‘illiberal democracies’, those that we see dangerously consolidating every day.